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DOMANDA
RISPOSTA DI FEDERICO BUCCI
Testo del quesito inoltrato da un Collega, al quale si era rivolta l’interessata:
“Io sono sempre a Funzione pubblica, anche se ora mi occupo di contrattazione.
Approfitto della tua competenza in materia di Cassa per sottoporti un quesito.
Alla luce del nuovo regime pensionistico e previdenziale della Cassa forense, conviene chiedere la prescrizione di alcuni contributi della Cassa relativi al primo triennio( pari a circa ottomila euro) alla luce della deliberazione del Consiglio forense ( " Consiglio di Amministrazione della Cassa Forense : ndr) in materia di prescrizione che però poi prevede di non poter comunque chiedere il riconoscimento successivo di quegli anni ai fini pensionistici.
Grazie tante per il cortese riscontro che mi darai.”
Rispondo al quesito che ha posto la tua amica.
Se la contribuzione di una (o più) annualità alla Cassa Forense è ormai prescritta non può essere più sanata quella omissione e ovviamente
l'annualità non potrà essere in ogni caso computata ai fini dell'anzianità iscrizionale.
Dal suo nome ho rilevato che la stessa è iscritta nell'albo degli avvocati di Vibo Valentia (e corrisponde anche il suo indirizzo di
posta elettronica) e dunque la sua dipendenza dal Ministero della Funzione Pubblica rende incompatibile la sua iscrizione a tale albo.
Aggiungo che se il quesito sul rapporto previdenziale con la Cassa Forense sia stato posto per se stessa dalla tua amica  è opportuno avvertirla che,
anche se ora essa pagasse i contributi, la sua incompatibilità per il rapporto di impiego verrebbe sicuramente accertata dalla Cassa Forense
(perfino le evasioni sui redditi risultano prima o poi, per l'incrocio dei dati tra la Cassa e l'Agenzia delle Entrate) e di nuovo non le sarebbero computati gli anni durante i quali l'iscrizione sarebbe stata mantenuta in regime di incompatibilità.
Egregio Avvocato,
ho bisogno della Sua gentile assistenza in quanto nell'agosto del 2007 mi è stata diagnosticata la leucemia mieloide cronica e, successivamente, mi è stata riconosciuta l'invalidità totale.
 
La mia capacità lavorativa ne ha fortemente risentito e ho da poco scoperto che ho diritto alla pensione di invalidità da parte della Cassa Forense.
 
Le porgo la seguente domanda (alla quale non ho trovato risposta nel sito della Cassa Forense): ho diritto anche agli arretrati della pensione o la decorrenza della stessa è dalla data della domanda?
 
La ringrazio anticipatamente per la cortese attenzione che vorrà riservarmi e Le porgo distinti saluti.
 
Cara Collega,
sia la pensione di invalidità, sia quella di inabilità decorrono dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda (ovvero, dal mese successivo alla maturazione dei requisiti, se perfezionati successivamente alla domanda : ad esempio, effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Forense da almeno 5 anni).
La pensione di invalidità viene corrisposta nel caso di riduzione della capacità all'esercizio della professionale in modo continuativo per infermità (difetto fisico o mentale) a meno di un terzo.
La pensione di inabilità viene corrisposta nel caso di incapacità permanente e totale all'esercizio della professione per malattia o infortunio, sopravvenuti successivamente all'iscrizione alla Cassa Forense.
Cercando il tuo indirizzo di posta elettronica, ho rilevato che sei iscritta nell'albo dell'Ordine milanese, sicché la Cassa -ricevendo la tua domanda- officerà un Delegato del Foro di Milano affinché nomini la commissione medica per valutare il tuo caso.
Cordialità ed auguri.
Egregio avvocato,
sono una giovane collega iscritta all'albo nell'ottobre del 2009 e attualmente intenzionata ad iscriversi alla Cassa Forense, per poter usufruire dei non pochi benefici riconosciuti agli under 35 (compirò i 36 nel 2011). La disciplina relativa alla dimostrazione della continuità professionale, nella ipotesi di iscrizione facoltativa, prevede che :"per i primi 3 anni di iscrizione alla Cassa, coincidenti con il triennio iniziale di iscrizione all'Albo, è sufficiente un volume di affari Iva di qualunque importo, per ciascun anno successivo al primo".
Bene, cosa si intende per "coincidenza"? La necessaria iscrizione alla Cassa nello stesso anno (solare) dell'iscrizione all'albo? Orbene, ammesso di essere ancora in tempo, nel 2010, per poter essere assoggettata alla disciplina sopra riportata, ho motivo di ritenere che sono già nelle condizioni di dover fatturare quel minimo importo previsto per il 2010 e 2011 (essendo il 2009 primo anno di iscrizione all'albo, ma non alla Cassa).
Grazie per la sua attenzione e per il servizio che ci rende.
Cara Collega,
sono lieto che tu ti ponga il problema della tua previdenza e mi permetto di suggerirti di chiedere la retrodatazione della tua iscrizione non soltanto all'anno 2009 così coincidente al primo anno di tua iscrizione all'albo, ma anche al periodo di praticantato abilitato, onde arricchire il tuo periodo di iscrizione previdenziale con il pagamento di somme modeste (rispetto a quanto in futuro dichiarerai), tenendo conto che riceverai dalla Cassa forense in risposta un conteggio che potrai anche ignorare per la parte relativa al praticantato abilitato, oppure chiedere la rateizzazione dell'importo complessivo.
Diverso è il caso della riscattabilità del periodi del praticantato non abilitato e degli anni del corso di laurea:  si tratta di periodi in cui non eri iscrivibile alla Cassa Forense, neppure volontariamente, ma -come per tutte le altre categorie nel nostro Paese- potresti avvantaggiarti del "riscatto" di tali anni, con futuri vantaggi previdenziali e con la possibilità anche in tale caso di chiedere la rateizzazione.
il tuo sacrificio finanziario con tali versamenti, inoltre, sarebbe fiscalmente detraibile.
Che la vita ti sorrida sempre.
Egregio avvocato Bucci,
Le scrivo in quanto, avendo letto i Suoi preziosissimi scritti sulla riforma della previdenza forense, ho acquisito grande stima nei Suoi confronti e confido nel Suo aiuto per la risoluzione di un problema che mi riguarda.
Ho presentato la mia candidatura per le imminenti votazioni per il rinnovo dei comitati dei delegati nel distretto di Caltanissetta, Gela, Enna e Nicosia.
L'altro unico candidato ha presentato ricorso alla Commissione Elettorale, che verrà deciso domani, avverso la mia candidatura, assumendo che sarei ineleggibile non avendo maturato dieci anni di iscrizione alla Cassa.
A mio sommesso parere l'art. 13 comma primo n. 2 dello Statuto, non prevede l'anzianità di iscrizione alla Cassa ma l'anzianità di iscrizione all'Albo.
Potrebbe darmi la Sua opinione in tal senso.
 
Cara e gentile Collega,
tra le requisiti di eleggibilità al Comitato dei Delegati vi è l'aver esercitato effettivamente la professione forense per almeno 10 anni e ai fini pensionistici ("mission" della nostra fondazione previdenziale) sono considerati effettivamente anni di esercizio professionale quelli nei quali il reddito è stato dichiarato in misura superiore al minimo annuo.
Poiché parliamo di esercizio professionale effettivo ai fini della eleggibilità al Comitato dei Delegati della Cassa, la interpretazione è la stessa dell'esercizio professionale effettivo ai fini del computo degli anni per il pensionamento.
Sono rammaricato di esprimere tale parere.
 
 
Caro Bucci,
colpito da una grave malattia circa un anno fa, mi sto riprendendo, ma i danni sono stati drammatici. Sono ovviamente iscritto alla Cassa Avvocati e ti ho sentito dire che nei casi di malattia si può ottenere una forma di assistenza, senza divenire pensionati di invalidità (cosa che non mi auguro).
 
Caro Amico,
ai sensi degli artt. 10 e seguenti del Regolamento per l’erogazione dell’assistenza (nel testo riformato ed in vigore dal 1° gennaio 2007), la Cassa Forense eroga il trattamento di “assistenza indennitaria” agli iscritti da almeno tre anni, che abbiano subìto impedimenti assoluti all’esercizio professionale per malattie o infortuni di durata superiore a tre mesi e non superiore ad un anno:   il primo limite temporale è posto per individuare un problema grave (impedimento di oltre tre mesi), mentre se l’impedimento supera il limite di un anno, non resta poi che chiedere il trattamento di pensione di invalidità.
Con l’assistenza indennitaria si ottiene la corresponsione di un importo pari ad un ventiquattresimo della media degli ultimi dieci anni dichiarati di reddito professionale per ogni mese di impedimento, val dire la metà della media dei redditi rapportata alla durata continuativa dell’impedimento assoluto.
Auguri di pronto ristabilimento.
 
Caro Bucci,
sto per compiere 65 anni. Quali pratiche e quali documenti devo approntare per ricevere tempestivamente la pensione? E’ ancora calcolata sui migliori 10 degli ultimi 15 anni di versamenti? Allorquando percepirò la “sospirata” pensione, potrò continuare a lavorare? Se si come credo, subirò delle decurtazioni ed eventualmente in quale misura?
 
Caro Collega,
normalmente è la Cassa di Previdenza che provvede in anticipo ad inviare all'iscritto i moduli per chiedere la corresponsione della pensione, con ampio anticipo sulla data di maturazione del diritto alla pensione stessa.
Il calcolo della pensione avviene con il sistema "pro rata", val dire che la Cassa predisporrà il conteggio tenendo presenti i vari metodi evoluti nel tempo.
Certamente potrai continuare ad esercitare la professione (senza alcuna decurtazione dell'importo della pensione) e, conseguentemente, per cinque anni ancora, dovrai versare i relativi contributi, per i quali riceverai poi due supplementi di pensione, che ti saranno liquidati dopo due e dopo tre anni dal pensionamento.  Dopo il compimento dei 70 anni, sarai obbligato - se avrai redditi professionali, soltanto a versare il contributo di solidarietà, del 3% sull'imponibile del tuo reddito.
 
Sento parlare da anni dei pericoli che corre la nostra Cassa di Previdenza, ma l’allarme si è acuito in questo periodo di crisi generale per la nostra professione. Dobbiamo davvero preoccuparci ?
 
Cara Collega,
il nostro sistema previdenziale sta scricchiolando per la longevità dei pensionati (ed altri superstiti), che era inimmaginabile negli anni settanta, quando fu elaborata la riforma (attuata con la legge del 20 settembre 1980, n. 675), che cancellò il sistema “a capitalizzazione individuale”, elementare (ma rassicurante per i contribuenti onesti), per farci passare a quello “a ripartizione”, basato sulla solidarietà intergenerazionale, espressione nobile ed enfatica, che però non regge più alle critiche.
La nostra categoria risulta una delle due più longeve del nostro Paese (che, insieme al Giappone, è tra i più longevi al mondo) e ciò ci conforta, ma preoccupa i responsabili della Cassa di Previdenza, poiché tale tendenza andrà aumentando.   Nel 1910 fu stabilita per legge l’età del pensionamento del dipendente pubblico a 65 anni, ma 65 anni era anche il limite medio della durata della vita dell’homo italicus di allora, sicché la pensione la ricevevano soltanto coloro che superavano quella età, tarda per quell’epoca.
Per la situazione attuale e, soprattutto, per la ormai prevista sua evoluzione (gli studiosi intravedono per le nuove generazioni la durata della vita fino a 120 anni), il Comitato dei Delegati della Cassa da tempo sta studiando rimedi:   poiché godremo della pensione per un numero sempre maggiore di anni sembra coerente e non iniquo ritardare (progressivamente) l’età del pensionamento, poiché la frazione di reddito che destiniamo al risparmio previdenziale per trenta anni, non può bastare a pagarci la pensione per 30 anni o più.
Nel mondo la quota di reddito da accumulare per la futura pensione viene ritenuta sufficiente nella misura del 33%.   L’INPS ottiene per legge importi enormemente superiori a carico dei suoi iscritti (o, piuttosto. a carico totale dei loro datori di lavoro, se non vogliamo anche noi ipocritamente credere alla diffusa frottola di demagoghi politici che i lavoratori dipendenti pagherebbero davvero imposte e contributi, mentre dal punto di vista della scienza delle finanze ciò costituisce una delle tante illusioni finanziarie, sulle quali non è questa la sede per dilungarci).
La citata legge 576/80 impone a noi avvocati il versamento “appena” del 10%, oltre al 2% di contributo integrativo, sicché è evidente che tale sistema ha retto quando i pensionati erano pochi, ma ora il loro numero è lanciato all’aumento e, per di più, come detto, la situazione attuariale è aggravata dalla longevità, imprevista negli anni settanta.   Il numero montante dei nuovi iscritti “attivi” - che non hanno redditi elevati - non basta a fronteggiare l’aumento degli iscritti “passivi” (pensionati) e la loro longevità, sicché, oltre a prevedere l’allungamento del periodo di contribuzione minimo (attualmente 30 anni), occorre anche aumentare i contributi.
Il Comitato dei Delegati ha deliberato da quasi due anni il timido aumento dei contributi, con decorrenza dall’anno prossimo: il contributo soggettivo è stato aumentato al 12% ed il contributo integrativo al 4%, ma dopo tanti mesi, nel novembre 2006, i tre Ministeri vigilanti non hanno approvato l’aumento del contributo integrativo, poiché ricadrebbe a carico di Sua Maestà il Consumatore (altra sciocchissima illusione finanziaria). Intanto due altre Casse previdenziali private, come la nostra, da anni avevano aumentato il contributo integrativo al 4% (evidentemente, secondo i detti tre Ministeri vigilanti, i clienti-consumatori dei dottori commercialisti non sono come i clienti nostri).
La nostra Cassa ha impugnato quel provvedimento dei tre Ministeri vigilanti, ma intanto, con l’azzoppamento del già timido provvedimento di aumento dei contributi, la stabilità della nostra Cassa è assicurata per 22 anni e non per i 30 anni, come aveva voluto il Comitato dei Delegati, aumentando anche il contributo integrativo.
Infine, un mese dopo, la pugnalata: con la legge finanziaria in vigore dal 28 dicembre 2006 è stato imposto agli enti previdenziali privati di dimostrare la stabilità per 30 anni (il che a noi, nella situazione attuale, non è stato consentito, come da un anno e spontaneamente avremmo voluto). Evviva la politica.
Ovviamente venderemo cara la pelle e non lasceremo che il nostro ente previdenziale (che ha un patrimonio di quasi 4 miliardi di euro) finisca posto in liquidazione coatta, con passaggio della funzione previdenziale forense all’INPS (che indubbiamente ci aumenterebbe notevolmente i contributi, considerati gli sperperi di quell’ente statale).
Mi sono dilungato nella risposta perché l’argomento è davvero di interesse generale e ti sono grato per avermi offerto l’occasione di segnalare un problema che davvero deve farci unire intorno a leaders che hanno una visione ispirata e strategica ed una dedizione appassionata al bene comune, non affidandoci a poveretti, o ad attivisti che sempre si propongono per propria vanagloria.
 

Egregio Collega, ho ricevuto dalla Gerit spa, per conto della cassa forense, una intimazione per asseriti mancati pagamenti. In sintesi: la cartella esattoriale mi è stata notificata tramite il servizio postale; l'avviso mi è stato lasciato al domicilio, stante la mia assenza, in data 29/5/02; ho ritirato l'atto il 19/6/02 e da quella data ho conteggiato i termini per i vari pagamenti rateali. La cassa pretende la mora per ritardato pagamento (peraltro è esposta la dicitura "importo residuo") ritenendo che la notifica si sia perfezionata il giorno successivo all'avviso e non il momento del ritiro all'ufficio postale. l'importo richiesto è modesto ed è stato finanche corrisposto poiché il giudice del lavoro al quale mi sono rivolta non ha sospeso l'esecuzione del provvedimento....

è corretta la pretesa???
 
Cara Collega, grato per l’apprezzamento per quanto facciamo per il bene comune, ti preciso che la questione rivoltami non è di natura previdenziale, riguardando il problema generale della decorrenza della mora debendi. Rispondo comunque io per precisare che la distinzione, introdotta dalla giurisprudenza costituzionale, tra la data di richiesta di notificazione di un atto giudiziario a mezzo del servizio postale (che riguarda la tempestività dell’iniziativa del mittente) e la data di ricezione del plico postale (che riguarda la data di conoscenza legale dell’atto da parte del destinatario), non si attaglia alla tua posizione.
Tu stessa riferisci che in data 29 maggio 2002, non potendosi eseguire la consegna della cartella esattoriale, notificata a mezzo del servizio postale, per tua assenza, ti veniva lasciato l’avviso di poter ritirare dall’indomani l’atto in giacenza presso l’agenzia postale, ma tu hai tardato venti giorni prima di recarti a ritirare l’atto stesso,
Non puoi invocare la potestatività di tale tuo adempimento, nella fattispecie tanto ritardato, quale esimente dalla decorrenza della mora dal giorno seguente a quello dell’avviso lasciatoti per avvertirti, appunto, della possibilità di ritiro.
Insomma, se ci decidiamo a curare, con il ritardo che ci aggrada, il ritiro dell’atto notificatoci a mezzo del servizio postale e, per nostra assenza, posto in giacenza presso l’agenzia postale, non possiamo pure pretendere che la mora decorra da quanto ci ha fatto comodo ritirare l’atto, altrimenti tutti i debitori ritarderebbero al massimo di curare il ritiro dell’atto.
Mi sembra dunque corretta la pretesa rivoltati di pagare la mora con decorrenza dal giorno successivo all’avviso. Con viva simpatia, me ne rammarico per te.
 

 

  
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